31 dicembre 2020 in Efficacia

Prof. A. Fici | I centri di servizio per il volontariato dopo la riforma

di
Prof. Antonio Fici
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I centri di servizio per il volontariato (CSV) non costituiscono una nuova figura del Terzo settore.

Erano infatti già stati istituiti dall’art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266, che però si limitava al riguardo a stabilire: che essi erano a disposizione delle organizzazioni di volontariato (ODV) e da queste ultime gestiti al fine di sostenerne e qualificarne l’attività; che erano istituiti grazie a “fondi speciali presso le regioni” costituiti grazie al versamento obbligatorio da parte delle fondazioni di origine bancaria (FOB) di una certa quota dei loro proventi (il c.d. “quindicesimo”).

Una disciplina più dettagliata si trovava poi nel decreto del Ministro del Tesoro, 8 ottobre 1997. Quest’ultimo istituiva i Co.Ge., quali organismi regionali (ciascuno composto da quindici membri, la maggioranza dei quali espressi dalle FOB) cui veniva demandata l’amministrazione del fondo speciale regionale; la determinazione del numero e l’istituzione dei CSV nella regione di competenza; la ripartizione ed assegnazione a ciascun CSV dei finanziamenti ex art. 15, l. 266/91; il controllo ex ante, in itinere (attraverso i componenti, da loro nominati, dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo di ogni CSV) ed ex post dei CSV, nonché l’assunzione di eventuali provvedimenti sanzionatori nei loro confronti, inclusa la cancellazione dall’elenco dei CSV, che segnava il termine della loro istituzione come tali.

 

Sul complessivo volto del sistema incidevano anche, quali fonti “di fatto”, alcuni accordi periodici tra le associazioni nazionali di rappresentanza dei CSV, delle FOB e del Terzo settore. Tali accordi erano orientati, tra l’altro, a realizzare obiettivi di stabilizzazione dei fondi (andando anche oltre, se necessario, il quindicesimo dovuto per legge) e di riequilibrio nella loro distribuzione territoriale (la cosiddetta perequazione tra regioni), indirizzando, secondo criteri concertati in sede nazionale, le scelte delle FOB nella destinazione della quota di “quindicesimo” che per la legge non era obbligatorio destinare al fondo speciale regionale presso cui avevano la propria sede legale.

 

Il sistema previgente era nel complesso caratterizzato da profili di incertezza interpretativa delle norme, forte “localismo” e disomogeneità di funzionamento dei CSV appartenenti a regioni diverse. La “giurisprudenza” dei Co.Ge. era, in tal senso, determinante non solo al fine dell’uso delle risorse, ma anche della definizione delle “sembianze” soggettive dei CSV. La discrezionalità dei CSV nel “gestire” le risorse, ad essi formalmente attribuita dalla l. 266/91, era di fatto declinata in modo differenziato da regione a regione, in funzione degli equilibri determinatisi in ciascuna di esse nei rapporti con il Co.Ge. L’elevato numero di Co.Ge. (e dei loro componenti), l’eccessivo numero di CSV in alcune regioni, la progressiva riduzione dei fondi ex art. 15, l’incapacità dei CSV di reperire ulteriori risorse oltre quelle delle FOB erano ulteriori fattori finanziari che mettevano in tensione il sistema e ne richiedevano una riforma al fine di rendere più efficace ed efficiente l’attività svolta dai CSV mediante le risorse delle FOB, e dunque non disperdere, ma semmai valorizzare ed ottimizzare, l’impatto sociale di tali risorse.

 

Nel d.lgs. 117/2017, recante il Codice del Terzo settore (CTS), si trova adesso una nuova, corposa e dettagliata disciplina dei CSV e del sistema di loro finanziamento e controllo, emanata sulla base delle indicazioni provenienti dalla legge delega 106/2016, attuate tenendo in grande considerazione la prassi convenzionale tra le associazioni rappresentative dei soggetti coinvolti sviluppatasi sulla base della previgente normativa, nonché in un clima di proficuo confronto tra il Governo e i principali interessati alla nuova disciplina (CSV, FOB ed enti del Terzo settore).

 

Questa nuova disciplina attribuisce un ruolo centrale alle FOB (soprattutto attraverso la loro associazione nazionale più rappresentativa, cioè ACRI) non solo nel finanziamento dei CSV, ma anche nella complessiva gestione del sistema dei CSV, da realizzarsi, peraltro, in cooperazione e concorso, sebbene nel rispetto dei diversi ruoli a ciascuno assegnati dal legislatore, con gli altri stakeholder principali di questo sistema, ovverosia i medesimi CSV (attraverso la loro associazione nazionale maggiormente rappresentativa, cioè CSVnet) e gli enti del Terzo settore (attraverso le loro associazioni più rappresentative, cioè il Forum nazionale e i Forum regionali del Terzo settore).

 

Le nuove regole incidono innanzitutto sulla struttura e la funzione dei CSV, ed ancor prima sulla procedura e i requisiti di assunzione di tale qualifica.

 

Quanto alla natura giuridica, quella di CSV non costituisce, nel sistema complessivo della nuova legislazione, una specifica e distinta tipologia organizzativa del Terzo settore (come lo sono, per intenderci, quelle dell’ODV, dell’associazione di promozione sociale, dell’impresa sociale, ecc.), bensì una particolare qualifica o, se si preferisce, una “funzione”, che è attribuita ad un ente del Terzo settore in virtù dell’“accreditamento”. Tale funzione consiste nel potere-dovere di utilizzare le risorse finanziarie (l’“azienda-CSV”) per il perseguimento degli obiettivi istituzionali inerenti la promozione del volontariato negli enti del Terzo settore.

 

L’ente che intende essere accreditato come CSV (e divenire dunque “ente-CSV”) deve avere la forma giuridica di associazione riconosciuta del Terzo settore (volendo, potrebbe avere acquisito la personalità giuridica anche mediante la procedura di cui all’art. 22 CTS) e perciò presentare tutti i requisiti di cui all’art. 4, 1° comma, CTS, inclusa l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS).

 

Ai fini dell’accreditamento, la base sociale dell’associazione deve essere composta da enti del Terzo settore che non abbiano forma societaria (dunque soltanto da associazioni e fondazioni del Terzo settore, incluse ODV, associazioni di promozione sociale, imprese sociali in forma di associazione o di fondazione, ecc., ad esclusione delle società imprese sociali, e tra esse delle cooperative sociali); implicita è dunque la natura di questa associazione come associazione di secondo grado tra enti del Terzo settore.
Sempre ai fini dell’accreditamento, lo statuto dell’associazione deve avere il contenuto minimo obbligatorio di cui alle lettere a)-m) del 1° comma dell’art. 61 CTS. Questo contenuto minimo obbligatorio dell’istituto conforma l’ente-CSV in vario modo:

  • gli impone una certa attività (peraltro, non necessariamente da svolgersi in via esclusiva) ed una contabilità separata per le risorse diverse da quelle di provenienza FOB (ciò significa che fonti ulteriori di finanziamento sono ammissibili, inclusi ricavi da attività commerciali);
  • gli vieta taluni usi delle risorse provenienti dalle FOB;
  • gli impone di mantenere la “porta aperta” a successive adesioni di altri enti del Terzo settore (fatta salva la possibilità di loro espulsione nel caso di mancato rispetto dello statuto del CSV);
  • impone la democraticità dell’organizzazione, il coinvolgimento e la partecipazione degli associati e l’elettività delle cariche sociali;
  • prevede un ruolo determinante delle ODV nella governance dell’ente: ad esse, infatti, deve essere attribuita la maggioranza dei voti in ciascuna assemblea (le ODV non sono dunque le uniche possibili associate al CSV, ma sono quelle associate cui il legislatore riserva il controllo dell’ente-CSV);
  • pone il divieto di controllo dell’associazione da parte di singoli associati o gruppi minoritari di associati;
  • impone specifici requisiti di onorabilità, professionalità, incompatibilità ed indipendenza per coloro che assumono cariche sociali, ed in particolare il divieto di ricoprire l’incarico di presidente dell’organo di amministrazione per alcuni soggetti impegnati nella vita politica;
  • pone l’obbligo del bilancio sociale (anche qualora le entrate del CSV fossero inferiori ad un milione di euro);
  • prevede un numero massimo di mandati consecutivi per i consiglieri e per il presidente;
  • attribuisce al competente organismo territoriale di controllo (OTC) il potere di nominare un componente dell’organo di controllo interno dell’associazione (organo di controllo che, pertanto, in un ETS accreditato come CSV deve sempre esservi, anche se non si superano i parametri di cui all’art. 30 CTS; scompare perciò, rispetto al regime pregresso, il potere di nomina da parte dell’organo di controllo esterno anche di un componente dell’organo di amministrazione del CSV).

 

Quanto all’attività, l’accreditamento come CSV obbliga l’ente-CSV ad utilizzare le risorse finanziarie ad esso conferite dalle FOB al fine di organizzare, gestire ed erogare servizi di supporto tecnico, formativo ed informativo per promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli enti del Terzo settore, senza far distinzione tra enti associati ed enti non associati, e con particolare (ma non già, come invece era in passato, esclusivo) riferimento alle ODV, nel rispetto e in coerenza con gli indirizzi strategici generali definiti dall’Organismo nazionale di controllo (ONC) ai sensi del articolo 64, 5° comma, lettera d), CTS.

 

L’ente-CSV è dunque tenuto ad utilizzare i finanziamenti ricevuti dalle FOB per erogare servizi di vario tipo riconducibili alla nozione di “supporto tecnico, formativo ed informativo”; più precisamente, il CTS distingue e classifica questi servizi in servizi di promozione, orientamento ed animazione territoriale; formazione; consulenza, assistenza qualificata ed accompagnamento; informazione e comunicazione; ricerca e documentazione; supporto tecnico-logistico; ed impone che essi siano erogati nel rispetto dei principi di qualità, economicità, territorialità e prossimità, universalità, integrazione, pubblicità e trasparenza.

 

I servizi non sono necessariamente diretti alle ODV e agli altri ETS, ma ai volontari o a coloro che aspirano ad operare come tali nelle ODV o in altri ETS (incluse dunque le imprese sociali); i CSV, pertanto, più non sostengono e promuovono l’attività delle ODV in quanto tali (come era ai sensi dell’abrogato art. 15, l. 266/91), bensì il volontariato negli enti del Terzo settore.

 

Le risorse ricevute dalle FOB non possono essere redistribuite dai CSV agli enti del Terzo settore, ma devono essere da questi ultimi “trasformate” in servizi reali di promozione del volontariato: è stato dunque oggi espressamente vietato ai CSV di utilizzare tali risorse per finanziare progetti presentati dagli enti del Terzo settore; un’attività (nota come “progettazione sociale”) che in passato era stata in certi casi ammessa. Conformemente, gli statuti degli enti-CSV devono prevedere il divieto di erogare direttamente in denaro le risorse ad essi provenienti dal fondo unico nazionale (FUN).

 

Se l’attività tipica dei CSV è quella di promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli ETS attraverso la prestazione di servizi di varia natura, non è tuttavia impedito ai CSV lo svolgimento di altre attività di interesse generale (poiché in nessun luogo del CTS si parla di esclusività dell’attività caratterizzante i CSV), naturalmente impiegando risorse diverse da quelle del FUN loro corrisposte dalle FOB nell’ambito del nuovo sistema di finanziamento che illustreremo più avanti. Ciò anche alla luce del fatto che le risorse di fonte diversa da quelle provenienti dalle FOB possono essere liberamente impiegate dagli enti-CSV.

 

Lo stesso Codice, in attuazione della legge delega, prevede all’art. 92 che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, titolare della funzione di controllo sugli ETS, possa promuovere l’autocontrollo degli ETS autorizzandone l’esercizio da parte (non solo delle reti associative nazionali, ma anche) dei CSV. E il successivo art. 93 CTS, dopo avere al primo comma identificato l’oggetto e le finalità specifiche dell’attività di controllo, chiarisce al quinto comma che gli enti accreditati come CSV, appositamente autorizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, possono svolgere attività di controllo ai sensi del comma 1, lettere a), b) e c), dell’art. 93, nei confronti degli ETS loro aderenti.
La riforma modifica significativamente il sistema di programmazione, finanziamento e controllo dei CSV se si confrontano le nuove norme con quelle di cui al d.m. del 1997. Se invece si guarda all’assetto come era di fatto definito dagli accordi convenzionali nazionali, le novità sono meno profonde, perché diversi sono gli aspetti che la nuova legislazione riprende dalla prassi di accordi tra organismi nazionali di rappresentanza di FOB, CSV e Terzo settore.

 

Il primo elemento di novità è rappresentato dalla determinazione del numero di CSV (che non è più attribuita agli organismi di controllo regionali). Tale numero è fissato direttamente dal legislatore, il quale, tuttavia, in certi casi e in presenza di determinate condizioni, attribuisce all’ONC un potere di deroga.

 

Il Codice prevede innanzitutto – quali soglia minima e tetto massimo inderogabili dall’ONC – che ogni regione e provincia autonoma debbano avere almeno un CSV e che in ciascuna regione o provincia autonoma il numero di CSV accreditati sulla base di questa nuova normativa non può essere superiore al numero di CSV che risultavano istituiti, sulla base della previgente normativa (cioè della legge 266/91 e del d.m. 8 ottobre 1997), alla data di entrata in vigore del CTS (cioè il 3 agosto 2017).

 

Stabilisce poi che l’ONC deve accreditare:
a) un CSV per ogni città metropolitana e per ogni provincia con territorio interamente montano e confinante con Paesi stranieri ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56;
b) un CSV per ogni milione di abitanti non residenti nell’ambito territoriale delle città metropolitane e delle province di cui al precedente punto.

 

L’Organismo nazionale di controllo (ONC) può tuttavia derogare ai suddetti criteri legislativi (quelli sub a) e b) testé riferiti), e dunque decidere di accreditare un numero maggiore o minore di CSV in ragione di specifiche esigenze territoriali del volontariato o di contenimento dei costi, fermi restando la soglia minima e il tetto massimo precedentemente indicati (cioè, non meno di un CSV in ciascuna regione o provincia autonoma; non più CSV di quelli esistenti al 3 agosto 2017 in ciascuna regione o provincia autonoma).

 

Esiste un regime transitorio in forza del quale i CSV attualmente istituiti sulla base della precedente normativa (o l’ente eventualmente risultante dalla loro fusione o aggregazione, nel caso di riduzione del numero di CSV) sono valutati dall’ONC ai fini dell’accreditamento secondo le nuove norme (devono dunque essere associazioni del Terzo settore ed avere i requisiti di base sociale e statutari contemplati nel CTS); v’è dunque per essi una sorta di “corsia preferenziale” verso l’accreditamento secondo la nuova disciplina. Soltanto se l’esito della suddetta valutazione è negativo, si procede all’accreditamento di altri enti in sostituzione dei “vecchi” CSV. Quanto ai Co.Ge, essi sono sciolti dalla data di costituzione dei relativi OTC.

 

Mutano anche le forme e le modalità di finanziamento dei CSV. Innanzitutto, l’ONC determina l’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV, anche sulla base del fabbisogno storico e delle esigenze di promozione del volontariato (art. 62, 7° comma, CTS). Al finanziamento si provvede mediante costituzione di un fondo unico nazionale (in luogo dei precedenti fondi speciali regionali), noto anche come FUN, alimentato da contributi obbligatori delle FOB: il quindicesimo, più eventuali altri contributi integrativi deliberati dall’ONC quando il quindicesimo non è sufficiente né vi sono riserve di stabilizzazione accumulate con quote di quindicesimo precedentemente non distribuite (perché eccedenti l’ammontare triennalmente prestabilito). Sui contributi delle FOB al FUN lo Stato riconosce alle prime un credito d’imposta entro un certo tetto massimo (pari, a regime, a dieci milioni di euro annui: art. 62, 6° comma, CTS).

 

L’ONC amministra il FUN e ripartisce il finanziamento tra le varie regioni o province autonome, secondo criteri trasparenti, obiettivi ed equi, definiti anche in relazione alla provenienza delle risorse delle FOB, ad esigenze di perequazione territoriale, nonché all’attribuzione storica delle risorse (art. 62, 7° comma, CTS).

 

Gli organismi territoriali di controllo (OTC) – che non sono enti giuridici autonomi, bensì uffici territoriali dell’ONC (art. 65, 1° comma, CTS) – ripartiscono la quota regionale tra i CSV della regione (ovviamente, qualora ve ne sia più di uno). Gli OTC sono in totale quindici, alcuni regionali altri sovraregionali (con competenza su due regioni o province autonome).
Agli OTC è altresì demandato l’esercizio del controllo sui CSV riguardo al legittimo e corretto uso delle risorse del FUN, nonché la nomina, tra i revisori legali iscritti, del presidente dell’organo di controllo interno dell’ente-CSV. I provvedimenti sanzionatori, inclusa la revoca dell’accreditamento, sono però in ogni caso formalmente disposti dall’ONC.

 

In conclusione, la nuova disciplina dei CSV appare apprezzabile sotto diversi profili.
Innanzitutto, perché consente di contenere i costi del sistema e di ottimizzare le risorse disponibili, grazie anche alle economie di scala generate dall’accentramento di alcune funzioni in capo all’ONC; alla riduzione del numero degli organismi di controllo a livello locale, peraltro privi di soggettività giuridica; al dimezzamento del numero delle persone coinvolte nella programmazione e controllo dei CSV (da 315, dei vecchi Co.Ge., a 154, dei nuovi ONC e OTC); alla riduzione del numero complessivo di CSV (un processo peraltro già in atto per effetto di molte “fusioni” tra CSV istituiti sulla base della precedente normativa).
In secondo luogo, perché, grazie al ruolo dell’ONC, conduce all’uniformità di trattamento dei CSV sotto il profilo delle attività esercitabili, dell’uso delle risorse, nonché dei controlli.
In terzo luogo, perché disancora il finanziamento dei CSV dal “quindicesimo” annuo e lo salda al “finanziamento stabile triennale”, grazie anche al contributo statale sotto forma di credito d’imposta alle FOB finanziatrici. Ciò significa maggiori risorse in favore del volontariato nonché risorse distribuite (dall’ONC) più equamente sul territorio nazionale, più non sussistendo il vincolo di destinazione del 50% del quindicesimo nella regione in cui ciascuna FOB ha sede legale, nonché la facoltà di ciascuna FOB di destinare liberamente il restante 50%.

 

Infine, perché promuove unità e coordinamento non solo tra i CSV (grazie al ruolo riconosciuto dalla legge, sotto diversi profili, alla loro associazione nazionale più rappresentativa), ma anche tra i diversi attori e stakeholder del sistema dei CSV, ovvero le FOB, i CSV e gli enti del Terzo settore. Il clima collaborativo che si è avvertito nella fase di stesura della nuova disciplina e nella fase di avvio di operatività dell’ONC lascia presagire una proficua interazione che non potrà che rivolgersi a vantaggio di quelli che sono, in ultima analisi, i beneficiari finali del sistema dei CSV, ovverosia le persone e le comunità che usufruiscono dell’attività di volontariato.

 

Antonio Fici