25 marzo 2024 in Stabilità

Rami di Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti iscritti al RUNTS

di
Avv. L. Pilon
Interno di una chiesa
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In questo breve scritto, si condivideranno alcune sensazioni a partire da una prima empirica analisi dei rami di Ente Religioso civilmente riconosciuto sino ad oggi iscritti al RUNTS e del contenuto dei relativi regolamenti del ramo.

Un accesso al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) ci consente di rilevare che su 123.502 enti di Terzo Settore iscritti alla data del 21.03.2024, i rami di Enti Ecclesiastici (appartenenti cioè alla Chiesa Cattolica) civilmente riconosciuti sono poche decine.

 

Questa constatazione conferma innanzitutto la sensazione che gli Enti Ecclesiastici siano in prudente attesa di conoscere appieno gli sviluppi normativi e applicativi della Riforma, soprattutto sul piano fiscale, per poi valutare il concreto impatto che la costituzione di un ramo ETS potrà avere sulla propria complessiva struttura giuridico-organizzativa.

 

Per altro verso, invece, è riscontrata una ben più consistente presenza nel RUNTS di attività di interesse generale svolte in contesti ecclesiastici o a questi riconducibili, ma strutturate di forme giuridiche proprie dell’ordinamento italiano (associazioni e fondazioni, soprattutto).

 

Ciò legittima la sensazione che la risposta prudente del mondo ecclesiastico alla Riforma del Terzo Settore non rappresenti una critica alla scelta del legislatore di dare dignità giuridica a un fenomeno sociale ed economico ormai da tempo consolidatosi e neppure al merito del/dei regimi giuridici specificamente introdotti. Non è, infatti, oggettivamente riscontrabile nessun attendismo degli Enti Ecclesiastici nel portare all’interno del perimetro del Terzo Settore la gran parte delle attività di interesse generale, anche quelle di natura carismatica, già tradizionalmente da essi svolte (addirittura alcune appositamente riprogettate o di nuova attivazione) tutte le volte in cui queste possano essere organizzate attraverso forme giuridiche soggettive ordinarie. La prudenza viene, invece, riscontrata quando si tratti di attivare incroci tra ordinamento confessionale e ordinamento statale, ancora non del tutto compiutamente delineati e non adeguatamente collaudati.

 

Anzi, questa riscontrata doppia velocità lascia intendere come il mondo ecclesiastico non si sia fatto prendere da facili entusiasmi, ma stia conducendo un’opera di discernimento ponderata sulle scelte più opportune per assicurare risposte efficaci alle esigenze delle comunità attraverso modelli organizzativi trasparenti ed efficienti. La semplice lettura dei documenti relativi ai rami ETS pubblicati nel RUNTS, poi, fornisce altri interessanti spunti di riflessione.

 

Nel tentativo di avere una maggior visione d’insieme, seppure senza alcuna pretesa di tipo statistico, da un lato, l’esame è stato concentrato su rami ETS di enti canonicamente diversi (rispettivamente di una parrocchia, di una diocesi, di un seminario, di un’associazione pubblica di fedeli e di una casa religiosa); dall’altro, si sono confrontate le regolamentazioni date ai temi forse più sensibili, quali l’assetto della governance del ramo, le tipologie di attività di interesse generale inserite nel ramo, la costituzione e la regolamentazione del patrimonio destinato e, infine, la relazione con il volontariato.

 

1. Iniziando dal tema della governace, tutti gli enti considerati hanno previsto che la gestione delle attività del ramo e la relativa rappresentanza debba spettare agli stessi soggetti ai quali tali funzioni sono riservate nel contesto canonico. In un solo caso il regolamento del ramo prevede che l’amministrazione del ramo sia rimessa ad un consiglio di amministrazione, precisando però che presidente di diritto ne è il legale rappresentante dell’Ente Ecclesiastico sulla base della normativa canonica e che l’amministrazione debba avvenire “in attuazione degli indirizzi” dati dagli organi di partecipazione propri dell’ente canonico.

Inoltre, tutti i rami esaminati prevedono e regolamentano l’organo di controllo e la revisione dei conti, in piena rispondenza con le relative norme del CTS, con l’eccezione di uno solo che, invece, ne omette ogni richiamo.

Tutti i regolamenti esaminati, poi, precisano il sistema dei controlli canonici previsti quale condizione di validità degli atti conclusi dal rappresentante del ramo, con richiamo più o meno espresso delle fonti normative ad essi relative.

Tali risultanze possano essere interpretate come indiretta conferma della preoccupazione a che una troppa accentuata diversificazione tra modelli di governance delle attività istituzionali (estranee al ramo), da un lato, e di quelle di interesse generale (facenti parte del ramo e oggetto della speciale regolamentazione), dall’altro, possa determinare equivoci o conflitti non facilmente o immediatamente gestibili.

 

2. L’esame delle attività di interesse generale conferite dai vari enti nei rispettivi rami, poi, evidenzia la tendenza a consentire al ramo stesso la massima ampiezza operativa. Infatti, le attività di interesse generale considerate spaziano tra quelle educative, di istruzione e formative a quelle ludiche e ricreative; dalle attività culturali e scientifiche a quelle sportive; dall’assistenza sociale alla beneficenza; dall’accoglienza all’alloggio sociale e alla cooperazione allo sviluppo.

Curioso è, invece, l’inserimento in due rami, tra le attività di interesse generale di quella di cui alla lett. m) dell’art. 5 CTS (“servizi strumentali ad enti del Terzo Settore resi da enti composti in misura non inferiore al 70% da enti del Terzo settore”): ci si chiede, infatti, come un ramo di Ente Ecclesiastico possa rispettare il requisito di composizione della sua base associativa previsto dalla norma.

Infine, il regolamento di un ente prevede anche l’attività di protezione civile.

 

In definitiva, la sensazione è che gli Enti Ecclesiastici non abbiano inteso la tassatività della attività di interesse generale come un limite condizionante la scelta di entrare nel Terzo Settore, mostrando anzi di potere e volere occupare ogni spazio ove potersi mobilitare.

 

3. Altro elemento interessante da indagare è il modo con il quale i vari enti abbiano previsto e disciplinato la componente patrimoniale destinata al ramo.

Va, innanzitutto, evidenziato come tutti i regolamenti considerati abbiano destinato al ramo una somma di denaro, ordinariamente di € 15.000,00 o 30.000,00.

Nessuno, invece, ha ricompreso nel ramo beni in natura, né mobili né immobili e, ciò nonostante, molte delle attività di interesse generale portate all’interno dei vari rami fossero già in precedenza svolte, a volte da molto tempo, in via diretta da tali enti e nonostante tali attività, per loro natura, debbano aver potuto utilizzare spazi o attrezzature.

Merita ancora una sottolineatura come quattro regolamenti su cinque prevedano la devoluzione dell’incremento patrimoniale in caso di cancellazione dal RUNTS genericamente a favore di altri ETS, mentre uno solo precisa che la devoluzione dovrà avvenire a favore di altro ramo ETS di Ente Ecclesiastico.

Da ciò si potrebbe desumere non essere intenzione degli Enti Ecclesiastici considerare la costituzione del ramo come scelta opportunistica e provvisoria.

 

4. Infine, solo due enti su cinque consentono nei regolamenti dei rispettivi rami la fruizione di prestazioni volontarie nelle attività del ramo e includono il registro dei volontari tra i libri obbligatori.

Pur nella consapevolezza che la partecipazione dei fedeli alla vita e alle attività degli Enti Ecclesiastici sia la risposta a una vocazione che, seppure espressione pratica di solidarietà sociale, nasce e si sviluppa in una dimensione trascendente, ci si aspettava che l’applicazione della Riforma del Terzo Settore rappresentasse anche un’occasione per una sistemazione giuridica delle modalità attuative della risposta a tale vocazione.

Da quanto emerso, quell’aspettativa è apparsa sbagliata e sarà interessante vedere se ciò sarà confermato anche nell’evoluzione delle iscrizioni future di rami di Enti Ecclesiastici al RUNTS.

Le scelte che verranno a delinearsi sul punto, infatti, potrebbero interessare anche gli stessi Enti Ecclesiastici per la definizione non solo delle strategie organizzative delle loro attività di interesse generale, ma di quelle relative alla loro azione pastorale.